In quante riunioni ti è stato proposto dello storytelling aziendale? Probabilmente non molte.
È un campo del marketing ormai esplorato abbastanza a fondo in via teorica, eppure le aziende sono ancora restie a utilizzare lo storytelling mediante la creazione di
video aziendali emozionali.
Anche prima dei giorni di Don Draper, i brand hanno utilizzato slogan, considerandoli il mezzo migliore per i loro messaggi di marketing e pubblicità. Oggi, ogni messaggio di marketing degno di questo nome è spesso giudicato dal potere e dall’efficacia del suo slogan.
“I’m lovin it”, dice McDonalds, mentre un’automobile BMW è “la macchina per guidare definitiva”. La ragione per cui dovresti comprare L’Oréal è “Perché vali”. Non so se ho reso l’idea.
Gli slogan e i payoff hanno fatto da padroni per un semplice motivo: funzionavano. I prodotti venivano venduti.
I marketers hanno creato messaggi brevi e concisi, che non solo catturano l’essenza del brand, ma sono abbastanza forti da emergere. Il pensiero comune era che avere qualcosa di breve, memorabile e significativo avesse più chance di essere ricordato. La missione del marketing era semplice: catturare la loro attenzione.
Oggi, invece, attrarre semplicemente l’attenzione del cliente non basta più. Loro vogliono di più. Ecco perché ci viene in aiuto lo Storytelling e i video aziendali.
I video aziendali non sono solo alla portata delle grandi multinazionali. Chiunque può costruire un video che fa leva sulle emozioni, veicolando messaggi in grado di attrarre la propria clientela.
È nello storytelling, ovvero nella costruzione e organizzazione del racconto aziendale che risiede la chiave del successo. Indubbiamente, realizzare video aziendali emozionali che mettano in scena storie coinvolgenti non è semplice.
Lo storytelling aziendale e l’importanza dei video aziendali
Non appena il potenziale buyer del prodotto o servizio prende coscienza del tuo brand, c’è un’altissima possibilità che vada in internet per saperne di più. Forse può dare un’occhiata al tuo sito. Ma più probabilmente scandaglierà i milioni di altre fonti di informazione sul tuo brand: opinioni, forum, social media.
Questo significa che i marketers hanno un’influenza limitata sulla percezione del brand.
Non fraintendiamoci, attirare l’attenzione va bene. Ma oggi i marketers devono trovare nuovi modi di mantenerla. Ecco il perché del successo dello storytelling marketing.
Storytelling e video aziendali oggi fanno parte della comunicazione dei brand.
Storytelling? Intendi tipo il “C’era una volta una principessa che viveva in una torre?”
Beh, più o meno sì.
Le storie con cui siamo cresciuti, tipo i tre porcellini, hanno vari messaggi sottintesi, che vogliamo che i bambini imparino e ricordino.
Non parlare con gli sconosciuti. Non mentire, tradire o rubare.
Allora perché i messaggi sono nascosti da sovrastrutture come case fatte di paglia e lupi travestiti?
La ragione sta nel modo in cui funziona il cervello umano.
Quando stiamo leggendo dei dati empirici, le aree cognitive e di linguaggio del cervello fanno il lavoro pesante nel fornire comprensione sulle informazioni presentate.
Ma quando leggiamo una storia, altre aree del cervello si attivano. Aree che si attivano quando stiamo davvero facendo esperienza di una cosa, si attivano anche quando leggiamo di un’esperienza.
La ricercatrice Véronique Boulenger e il suo team di Laboratorio del linguaggio dinamico hanno scoperto che leggere delle frasi che contengano azioni causa dell’attività nella parte del cervello che normalmente coordina il movimento del corpo. Semplicemente leggendo una frase come “Paolo ha dato un calcio al pallone” fa sì che il cervello viva un’esperienza simulata di calciare davvero una palla.
Perché è importante? Perché il cervello lo ricorda meglio.
Molte persone non riescono a ricordare fatti o statistiche a lungo, ma possono ricordare storie per via delle molteplici aree del cervello coinvolte. La mnemonica lavora sullo stesso principio.
Dare al cervello delle esche aggiuntive per aiutare a ricordare è una delle ragioni per cui i brand hanno bisogno di evolvere dagli slogan unidimensionali a comunicazioni basate su storie multifase.
Smettila di chiamarlo contenuto
Per anni, la parola più odiata da alcuni nel marketing è stata “engagement”. Abusata, mal interpretata, e gettata in conversazione da persone che non capiscono davvero la premessa fondamentale del discorso ma vogliono suonare acculturati.
Ma engagement oggi è storia vecchia. La torcia è passata alla nuova generazione di terminologia marketing senza senso: qualcosa che i marketers chiamano contenuto.
I marketers usano la parola contenuto per descrivere parole, suoni, immagini che considerano meritevoli di condividere su siti, app e canali social media. È attraverso il processo di creazione dei contenuti , insistono, che alla fine i brand vinceranno.
Sono talmente convinti da utilizzare questa parola anche con la loro stessa audience: “clicca qui per scaricare il contenuto”, “il tuo contenuto sarà mostrato dopo questo messaggio”.
Il problema è che nessuno nel mondo reale chiamerebbe mai qualcosa del buon contenuto. Le persone vere non finiscono di leggere un romanzo, né di guardare un film che ha vinto l’oscar, o di assistere a un grande concerto per dire “Wow, questo era un bel pezzo di contenuto!”
D’altra parte, le storie hanno intrattenuto gli essere umani per tanto tempo quanto riusciamo a ricordarcene.
Il potere delle storie, e potenzialmente dello storytelling aziendale, è la ragione per cui corriamo a casa a guardare l’ultima serie su Netflix, o giriamo le pagine di un libro, reale o digitale, o restiamo incolati ai nostri smartphone e tablet. Una storia interessante e ben raccontata non mancherà di catturare la nostra attenzione, perché ci coinvolge e ci consuma. Vogliamo vedere/sentire/sapere di più.
Creare una bella storia è difficile
Comparato a sviluppare una bella storia, uscirsene con un messaggio di brand è roba da niente. Gli stakeholders si girano le idee tra loro, aiutati da ricerche condotte precedentemente e insights. L’obiettivo è creare quel singolo “concetto eureka” che servirà a determinare la campagna. Quello che segue è un processo di ottimizzazione, affinazione e iterazione per assicurarsi che il risultato possa essere declinato per media, piattaforme e formati differenti, dai video aziendali ai social passando per l’offline.
Uno storytelling aziendale eccezionale, invece, è tutt’altra storia. Le grandi storie non sono mai troppo palesi o scoperte. Un’autentica storia, per definizione, non può essere fabbricata!
Hemingway diceva che la prima bozza non è altro che spazzatura. Ma quell’idea iniziale è vitale, oltre che fragile e vulnerabile.
Va da sé che niente di ciò possa avvenire una tipica campagna che produce in maniera standard. Questa è la principale ragione per cui molte delle storie di brand non sono autentiche, né emozionali o multidimensionali.